Cosa accade quando le storie della propria vita diventano “la” Storia? A partire da questa domanda che è alla base di ogni suo film, Ruth Beckermann inizia il suo viaggio nella memoria della famiglia in.cui si incontrano la diaspora, l'Europa orientale, Israele. Una geografia emozionale e fisica che da Vienna la porta in Romania, in Jugoslavia, nella Repubblica Ceca sulle tracce delle comunità ebraiche, della loro presenza dopo la guerra e prima, ai tempi dell'Impero Austro-Ungarico. Fino, appunto, in Israele che la madre considera la sua “casa”.
Le strade di Vienna dove Ruth è cresciuta e abita le appaiono all'improvviso estranee mentre pensa alla nonna, Oma Rosa, sopravvissuta allo sterminio nazista fingendosi muta e nascondendosi nei boschi fuori città come nella leggenda che racconta di una donna divenuta pian piano invisibile perché emarginata con violenza dal villaggio.
E poi? Il padre della regista che veniva dalla Bukovina porta con sé il ricordo dell'Impero Austro-Ungarico quando non c'era l'antisemitismo. Czernowitz, la sua città, era cambiata d'un tratto con Hitler e le sue promesse di lavoro e di benessere. Dopo la guerra quando era arrivato a Vienna sentiva una fortissima ostilità contro di lui perché ebreo. Ma aveva deciso di restare. «Come hai fatto a andare avanti?» - chiede la figlia. «Cercando di bastare a me stesso» – risponde lui, fino a diventare lo stimato commerciante che è stato.
In Romania, dove l'indole delle persone ha permesso di sfuggire al sistema, gli ebrei rimasti si preparano a partire per Israele con la promessa di mantenere anche lì le proprie abitudini. Una signora insegna ebraico ai giovani anche se per ora ha solo due studenti. Il paesaggio sperduto in una nebbia fredda è antico, sembra riportare in altre epoche.
L'epifania del reale è la risata dell'uomo che accompagna Beckermann in un cimitero ebraico, chiamandola «ragazzina» mentre racconta della ricca famiglia viennese che dopo la guerra non aveva più sostenuto la loro comunità perché erano comunisti.
Nel campo di concentramento di Theresienstadt stanno girando un film americano. «Che cosa avrei fatto al posto di un sopravvissuto?» si chiede la regista.
Quel sentimento di “non appartenenza” che attraversa la narrazione alla prima persona interroga la realtà che all'improvviso sembra rispondere con prepotenza: nelle immagini delle manifestazioni a Vienna sulla candidatura di Waldheim alla presidenza dell'Austria – divenuto poi il nucleo del successivo Waldheim Waltzer (2018). Una frattura nel Paese tra chi è contro per il suo passato (nascosto) nazista e chi è favorevole da cui emerge il profondo e convinto antisemitismo nazionalista e l'adesione al nazismo che nella propria rappresentazione post-bellica di “vittima” l'Austria ha cancellato.
Come ogni film di Beckermann anche questo è un mondo: attraversando il suo “Ponte di carta” si attraversano epoche, universi, immaginari come se il tempo fluisse davanti ai nostri occhi portandoci in dimensioni che ci sono famigliari e insieme scoperte per la prima volta. Viaggiatrice tra le storie Beckermann sa come appassionarci, le sue immagini sono una continua avventura con cui tesse le trame di una storia mai narrata. (Cristina Piccino)