Cookie Consent by Privacy Policies Generator website FilmMakerFest - EAST OF WAR
FESTIVAL INTERNAZIONALE DI CINEMA DAL 1980
17 NOVEMBRE - 27 NOVEMBRE 2023
EN
RETROSPETTIVA RUTH BECKERMANN
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EAST OF WAR
 
SALA GREGORIANUM
ore 19.30
 

 
Austria, 1996 
35mm (High-8 blow-up), colore, 117' 
V.O. Tedesco

REGIA
Ruth Beckermann

FOTOGRAFIA 
Peter Roehsler
 
MONTAGGIO
Gertraud Luschützky

PRODUZIONE
Josef Aichholzer Film Production

PRODUTTORE
Josef Aichholzer

CONTATTI
sekretariat@ruthbeckermann.com
 

 

EAST OF WAR
La memoria e l'oblio, la storia e le revisioni personali, la vergogna e la commozione, l'ammissione di una responsabilità collettiva e il proclamarsi innocenti celandosi dietro le colpe degli altri. Oppure il semplice e spiazzante non credere, come se ai documenti e alle testimonianze si preferissero gli atti di fede. A parlare sono uomini, soprattutto, che intervengono dopo aver visitato una mostra, “Vernichtungskrieg. Verbrechen der Wehrmacht 1941 bis 1944”. Foto e documenti che raccontano l'orrore della guerra, i crimini compiuti, le offese che un'umanità ha recato a un'altra umanità. 
Ruth Beckermann, in cinque settimane, ha intervistato duecento persone per quarantasei ore di materiale. E compie delle scelte precise. Inquadra solo chi parla, lo ascolta, talvolta lo incalza con la richiesta di una precisazione, spesso sono gli altri visitatori a intervenire, a smentire, a confermare, a indignarsi, a lamentarsi. Tutti sono coinvolti nell'ascolto. Mentre l'esposizione resta sullo sfondo, nessuna didascalia viene in soccorso, lo spettatore è obbligato a ricordare, a visualizzare interiormente. «Sapevo perfettamente – racconta Beckermann in un'intervista – che non avrei mostrato le foto della mostra sulla Wehrmacht, altrimenti avrei vanificato il lavoro sulla memoria. Avrebbe portato a un confronto tra fatti storici e memoria, stabilendo una dicotomia tra ciò che si dice e ciò che si mostra. Al contrario, volevo che il pubblico si confrontasse con il tema della memoria, in modo da far emergere le varie sfumature della verità e della menzogna, di ciò che non viene detto e di ciò che viene tenuto segreto».   
I visitatori, quindi, sono richiamati all'obbligo della testimonianza e a prendere una posizione, a collocarsi in un contesto nel quale inequivocabilmente una forza militare, quella tedesca con la complicità dei soldati austriaci, ha aggredito e invaso un altro paese. I reduci ricordano ma non del tutto, sanno fino a un certo punto, concordano su alcune colpe escludendone altre, ringraziano di aver fatto parte di un'altra divisione, meno criminale, meno folle nel compiere atti disumani. In molti sostengono che invadere la Russia fosse stato giusto, anche alla luce della successiva Guerra Fredda, e che giustiziare i civili appartenesse all'ordine naturale delle cose. Altri evocano gli atti barbarici compiuti contro la città di Dresda. «Cos'altro potevamo fare? Eravamo obbligati ad andare in guerra». 
Poi improvvisamente una donna irrompe e interrompe il balbettio di un ex soldato della Wehrmacht, arresta l'odioso tentativo di normalizzare, di mimetizzarsi dietro giustificazioni e destini avversi: «Se hai partecipato a questa guerra e hai combattuto in un paese straniero, causando distruzione e miseria a persone che non ti hanno mai fatto del male, come puoi affermare, una volta tornato indietro, "Non era altro che una guerra normale". Mio padre, che ha circa la tua età e ha combattuto nel Caucaso, mi ha raccontato come proprio durante la campagna si fosse reso conto dei crimini che stavano commettendo. È così dolorosamente ovvio. Cioè, se qualcuno ha un cuore e dei sentimenti, a un certo punto non può che ammettere di aver commesso un crimine, anche se legalmente autorizzato. [...] Le guerre sono sempre terribili e le motivazioni, soprattutto quelle della parte che le ha iniziate, non possono mai essere giustificate». (Mazzino Montinari) 
 
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