Cosa significa diventare adulti? La domanda ricorre nelle giornate di Sharon, Thom, Moishy e Sophie, quattro ragazzini di dodici anni che stanno preparando rispettivamente i loro Bar Mitzva e Bat Mitzva. Ciascuno porta in sé culture e modi di porsi rispetto alla religione diversi con l'idea comune che l'entrata nel mondo adulto deve essere una grande festa. Tra la preparazione del rituale - letture, canti, studio del gesto, dell'intonazione della voce, del discorso da pronunciare -, genitori e ragazzini esprimono le proprie aspettative su quel momento cruciale dell'esistenza in cui spesso si proiettano più i desideri dei primi che dei secondi. La festa diviene così lo spazio dove mettere in scena le storie famigliari, le radici più lontane, ciò che si vuole essere e ciò che si vuole dichiarare rispetto alla tradizione condivisa ma appunto differente per ognuno. È una questione identitaria e anche di classe, tutti vorrebbero una “festa speciale” però le disponibilità cambiano. Oltre il rabbino capo e il cantore qualcuno può permettersi un filmmaker, André Wanne, che riprende la festa e realizza anche delle clip nelle quali i ragazzi si presentano come più gli piace. Nei giorni che precedono l'evento ascoltiamo i ragazzi, i padri e con le madri, seguiamo il movimento delle emozioni. C'è la famiglia ortodossa, che pratica le regole nel modo più antico, e quella di Sophie il cui giovane padre racconta la propria storia famigliare: la madre che si era convertita divenendo più dogmatica del padre. Un'altra famiglia ha scelto lo stile “spagnolo”, perché sono sefarditi e il figlio ama l'eroico Zorro. Cambiano gli abiti, i décor, l'allestimento, i luoghi: da Vienna al Muro del pianto, dall'outfit elegante a quello iper-tradizionale, dallo sfarzo a una maggiore semplicità. Nel mezzo si intrecciano altre voci di chi il Bar Mitzvah non lo ha fatto perché era sfollato dall'Iraq in Israele o perché c'era la guerra. «Non sono preoccupato, in fondo si sta insieme ai parenti e agli amici, sarà bello» dice uno dei ragazzini. La macchina da presa di Beckermann entra discreta negli interni, si sofferma sui dettagli, nei silenzi dei giovani protagonisti che sembrano a volte racchiudere una distanza, quasi fossero già entrati nel loro nuovo ruolo. Da lì cerca le crepe, costruisce dei contrappunti, esplora con umorismo la tradizione ebraica illuminandone le molte declinazione e memorie. E alla ritualità intreccia le fantasie dell'adolescenza che possono essere il vestito da Zorro, i bigodini in testa, il trucco con la mamma, scatenarsi nella danza. Un terreno ancora aperto alle possibilità. (Cristina Piccino)