L'osservazione del lavoro manuale minuzioso, attento, di precisione fin nel più piccolo dettaglio fa parte della cinematografia di Martina Parenti e Massimo D'Anolfi: in Guerra e pace è quello dell'archivista, di chi studia, restaura e conserva la pellicola cinematografica, le bobine degli anni Dieci che raccontano l'invasione italiana della Libia. Alla crudeltà delle immagini di propaganda, costruite ad arte dagli studios cinematografici, fa da contrappunto l'amore e la cura con cui viene trattata la pellicola, strumento imprescindibile della memoria. Nel nuovo film della coppia di registi – diviso in quattro capitoli: passato remoto, passato prossimo, presente e futuro – viene esaminata la guerra, il suo rapporto con l'immaginario o la sua “quotidianità” colta da una prospettiva trasversale. Nel passato prossimo è il lavoro nell'unità di crisi della Farnesina, il monitoraggio costante delle zone di guerra e la comunicazione con gli italiani che vi si trovano; nel presente è la creazione stessa dell'immagine, i pericoli che nasconde dietro la sua apparente neutralità e le “istruzioni” per maneggiarla come un'arma.
D'Anolfi e Parenti ci portano infatti nell'École des métiers de l'image dell'Aviazione militare francese, in cui ai militari viene insegnato come immortalare le operazioni militari mentre l'educazione all'immagine diviene parte integrante della costante preparazione alla guerra in tempo di pace. Il futuro - “dove tutto è già scritto” - non può che essere il cinema stesso, prezioso custode della memoria ma anche arma potente da decodificare.
Martina Parenti (Milano, 1972) e Massimo D'Anolfi (Pescara, 1974) esordiscono nel 2007 con I promessi sposi. Selezionato al Locarno Film Festival, il film vince il Festival dei Popoli e Filmmaker. Segue Grandi speranze (2009) girato tra Italia e Cina, entrato anch'esso nella selezione di Locarno, e Il castello (2011), ambientato interamente nell'aeroporto di Malpensa, che ottiene numerosi riconoscimenti in vari festival internazionali. Materia oscura (2014), presentato alla Berlinale 63, ottiene il premio come miglior film di diritti umani al Bafici di Buenos Aires e, come miglior documentario, a Terra di Cinema – Festival de Tremblay-en-France. Con L'infinita fabbrica del Duomo (2015), presentato in concorso a Filmmaker, comincia la loro esplorazione degli elementi della natura e la tensione verso l'immortalità, culminato in Spira mirabilis (2016), in concorso alla 73esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia.