Un pomeriggio e una notte del dicembre 1966, nel suo appartamento al Chelsea Hotel di New York, Shirley Clarke intervista Jason Holliday sulla sua vita e le sue zone oscure. Jason è nero, gay, si prostituisce: quello che oggi è considerato la prima grande “movie star” nera e omosessuale era un paria nell'America degli anni Sessanta. Stretto in un completo elegante, si racconta a Clarke e alla sua crew - che rimangono fuori campo: è Jason l'unica persona davanti alla macchina da presa che, in un impasto di realtà e finzione, alterna numeri dal suo repertorio di aspirante cabarettista a momenti in cui lascia filtrare la verità. Il dolore di una vita da underdog e la gioia di essere finalmente protagonista assoluto della scena.
Shirley Clarke (New York, 1919 - 1997), cineasta sperimentale e indipendente, studia come filmmaker con Hans Richter al City College di New York. Dal 1955 diviene membro dell'Independent Filmmakers of America e entra a fare parte del circuito di registi del cinema sperimentale del Greenwich Village con Maya Deren, Stan Brakhage, Jonas Mekas e Lionel Rogosin. Nel 1961 è tra i firmatari del manifesto del New American Cinema Group e, nel 1962, tra i fondatori della Film-Makers' Cooperative. Opere come The Connection (1961) e Portrait of Jason (1967) hanno ispirato generazioni di registi. Con Robert Frost: A Lover’s Quarrel with the World (1963) ha vinto l’Oscar per il miglior documentario, ma la sua carriera, al pari della sua vita, è stata sempre in aspra polemica con l’industria culturale hollywoodiana.