Da qualche anno le etichette che si appongono alle nuove forme di cinema sono diventate labili. Durano poco, perdono rapidamente senso, quando non cambiano subdolamente di significato. Di fronte a questa confusione, il rischio dell'arroccamento nostalgico è preoccupante esattamente quanto l'adesione entusiastica e incondizionata alle novità.
Per chi fa un festival, guardare il nuovo è un dovere primario che si associa strettamente alla necessità di interpretarlo e alla possibilità di promuoverlo e sostenerlo. E qui, a dispetto dell'univocità perentoria delle mode, le opzioni sono molte e diversificate.
Filmmaker non ha ricette pronte, ma un percorso lungo e originale sì: fin dalle origini con l'individuazione di un movimento sommerso di autori periferici destinati a rinnovare il cinema italiano o dalla lungimirante svolta degli anni '90 a favore del documentario d'autore e, ancora, dalla recente e convinta frequentazione delle esperienze di confine con l'arte contemporanea, il nostro festival si è dato un’impronta netta, offrendo chiavi interpretative precise e rischiando scommesse tutt'altro che facili. Tenendo sempre fede a una specificità: il radicamento locale, che è l'esatto opposto del provincialismo. Fare un festival internazionale che porta a Milano le più rigorose e innovative esperienze del cinema di ricerca (con vere e proprie scoperte e molte prime) ha per noi senso solo quando si traduce in esperienza condivisa dagli spettatori e dai registi che si ritrovano davanti agli schermi dei nostri cinema, quando semina idee per nuovi film, quando allarga le visioni e acuisce le sensibilità per la ricerca, la serietà, il rigore stilistico. Quando permette di essere cittadini più consapevoli.
Mostrare film, sostenerne la produzione e lo sviluppo, diffondere la cultura cinematografica durante tutto l'anno è oggi l'attività di Filmmaker: una sfida che lanciamo anche quest'anno con fiducia rinnovata, rafforzando il programma, introducendo un nuovo concorso e puntando su Filmmaker Off. Buone visioni!