Martedì 18 novembre — 19.30
Cineteca Arlecchino
Biglietti
Libano | 2025
4K | Colore | 120'
V.O. Arabo
REGIA
Abbas Fahdel
FOTOGRAFIA
Abbas Fahdel
MONTAGGIO
Abbas Fahdel
SUONO
Abbas Fahdel
INTERPRETI
Camelia Abbas, Nour Ballouk
PRODUZIONE
Nour Ballouk Co.
CONTATTI
nourballouk@hotmail.com

Tales of the Wounded Land inizia con un funerale collettivo ripreso dall’alto: il drone plana su una lunga processione di persone e di bare che attraversa le macerie del lutto portandoci subito in quella “terra ferita” a cui allude il titolo del film. Che è il Libano, in particolare la regione del sud dove il regista vive, devastata dall’aggressione israeliana nel 2024, un nuovo capitolo in una lunga storia di occupazione e di violenza a cui il regista aveva dedicato il precedente film, Tales of a Purple House (2022) che con questo costituisce nelle sue intenzioni un dittico.
Fahdel filma a partire da sé e dalla propria famiglia, la moglie Nour Ballouk, gallerista e artista e la figlioletta Camelia che di questa narrazione diviene il centro e lo sguardo. La incontriamo prima della “guerra” che in realtà è sempre stata lì pure se non ufficialmente dichiarata, nella loro casa circondata da un bellissimo giardino. Mentre gioca sulla terrazza con gli amati gatti, nei suoi occhi vediamo le bombe che cadono poco distanti, i missili che colpiscono le case e le polverizzano, i vetri che tremano, le tende che ondeggiano. Per tranquillizzarla Nour inventa storie, le dice che sono i fuochi d'artificio o che il rumore arriva dalla pancia dei gatti, e lei fa finta di crederci con la forza incredibile dei bambini che riescono a trasformare in quotidiano anche quel terrore.
Quando la situazione peggiora i tre partono lasciandosi tutto dietro. Al ritorno col cessate il fuoco non sanno cosa troveranno ma la loro casa seppure danneggiata c'è ancora, sembra averli aspettati. Nel paesaggio distrutto, in cui piange Nour, la bimba dopo le lacrime inizia a inseguire i suoi giochi, i gatti, sorride con la forza di un’innocenza che diventa stare nel mondo. È questa la resilienza?
Il cinema di Fahdel è politico nella sua poesia, afferma la scelta di confrontarsi con un conflitto e le sue conseguenze senza delegare mai al proprio soggetto la sua forma. Anzi a partire da qui si avvicina con delicatezza e pudore a quella “terra” e alla sua “ferita” che riguarda persone, cose, animali, natura, e lungo i bordi rimasti invisibili prova a restituire una visione ampia, in cui lo spettatore può trovare da sé il proprio punto di vista sul mondo. Nel suo gesto cinematografico la dimensione personale è sempre collettiva, e illumina i sentimenti e la forza di una comunità che non vuole arrendersi continuando a immaginare un possibile futuro.
— Cristina Piccino
Abbas Fahdel (al-Hilla, 1959) regista, sceneggiatore, critico cinematografico, lascia l'Iraq a diciotto anni per trasferirsi a Parigi dove studia cinema alla Sorbonne. Nel 2002 torna in Iraq per girare Retour à Babylone a cui segue Nous les Irakiens (2003). Nel 2008 realizza il suo primo lungometraggio, L'Aube du monde, con Hafsia Herzi e Hiam Abbas. Fra il 2002/3 gira i materiali che diventeranno il premiatissimo Homeland (Iraq Year Zero) nel 2016. Una storia famigliare che nel suo esplicito riferimento rosselliniano traccia una mappa del Medioriente fra passato e presente. Fra gli altri suoi film: Yara (2016); Bitter Bread (2019); Tales of the Purple House (2022).