Sono quadri in movimento quelli di Lacrime di terra, composizioni che intrecciano dimensioni multiple con un ritmo che tutto avvolge. La desolazione di un paese ormai disabitato, Craco, in Basilicata, - a causa di una violenta frana che lo colpì negli anni Sessanta - si fa concreta nelle crepe che attraversano le case, nei respiri degli animali selvatici che vivono ancora lì. Gli autori si muovono fra le abitazioni vuote, le mura diroccate, osservano gli interni che testimoniano ancora una presenza umana passata come i vestiti e gli oggetti rimasti lì. E scelgono poi di mostrare un controcampo temporale: nelle immagini d’archivio ecco il brulicare delle persone, bambini giovani e anziani, il lavoro della terra, la quotidianità. “I colori sono enfatizzati per sottolineare il valore della traccia degli uomini lasciata nei luoghi abbandonati, soprattutto con gli abiti e gli oggetti personali. Assumono un valore altrettanto simbolico, poiché sono completi, si presentano sbiaditi e strutturati a gradienti, come qualcosa che sta per andarsene, ma non completamente” scrivono i registi. Tutto spazzato via per un evento naturale - ma, si potrebbe obiettare, il tempo avrebbe cancellato prima o poi quei volti in ogni caso. Il cinema allora arriva “dopo” per dare una nuova forma a ciò che resta, una lettura poetica del transito su questa terra. (Lucrezia Ercolani)