Ci invitano a pensare che riscrivere la nostra storia sia possibile, che la guarigione sia a portata di mano, che la felicità non tarderà ad arrivare. Basta immaginare un happy ending e poi provare a filmarlo, se non a viverlo. E se poi poco o nulla è cambiato? Se quella presenza, indesiderata, non richiesta, ma ormai così familiare, continua a pesare sul corpo e sulla mente? È un gesto di ribellione alle facili soluzioni quello di Giulia Visco Gilardi, che in Tutto il mio corpo è stanco tematizza il suo rapporto con la depressione. Le immagini di un “film fallito” vengono bruciate, sono quelle in cui il male veniva superato, una “favola” che, nella sua falsità, ha generato ancora più dolore. Per ogni fotogramma ora c’è un pensiero, è un flusso in cui tornano, come in una spirale, alcune parole. Il discorso ha preso il posto della narrazione in un rituale che non significa sprofondare ma piuttosto aprire le porta alla realtà, nella sua durezza ma anche nelle possibilità di venire a patti. Per dialogare ci vuole rispetto - e questo film è una lettera che la regista manda a “lei”, ma anche a tutti noi. (Lucrezia Ercolani)

Giulia Visco Gilardi (1997) nasce a Busto Arsizio. Studia videomaking e produzioni audiovisive presso il CFP Bauer di Milano e successivamente Documentario alla Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti di Milano. Utilizzando principalmente la sperimentazione audiovisiva esplora temi universalmente accessibili partendo da esperienze personali, privilegiando l'utilizzo del suono come linguaggio cardine.